martedì 18 giugno 2019

Sull'onda della lettura di "Orfani bianchi"

Sindrome Italia, nella clinica delle nostre badanti
(di Francesco Battistini)

«Nicoleta, sei una schifosa! Nicoleta, pulisci! Nicoleta, sta' zitta! ... Le sento sempre, quelle voci…». Nelle orecchie ronzano ancora le urla del vecchio malato d'Alzheimer e di sua moglie. Nella mente, i ricordi della casa di Treviso: una prigione senza sonno e senza permessi, né sabati né domeniche. «Quei signori me li sogno tutte le notti. Due zombie! M'afferrano, mi fanno male!…».
All'ombra d'un carrubo, ingoffita d'un soprabito nero che invecchia il suo corpo cinquantaduenne, Nicoleta sta seduta a fissare le ortensie della clinica. Ogni mezzogiorno, stessa panchina. Dieci anni da badante e ora più nessuno a cui badare, nemmeno se stessa. Il tempo, lo trascorre a fare la terapia: «Quando sono tornata a casa, nel 2012, mi sono accorta che parlavo con le voci. Mi sentivo prigioniera, non dormivo mai, scappavo. Avevo attacchi di panico, piangevo. I miei due figli mi guardavano come una sconosciuta. Avevano ragione: erano cresciuti senza vedermi, ormai era passato troppo tempo... Alla fine se ne sono andati via».
Nicoleta sorride nel vuoto: «Io sono rimasta qui, loro sono fuggiti a vivere in Sicilia. Ed è come prima: non ci vediamo mai». Meglio così: «Ma sì, che cosa ci stavano a fare con me? Hanno una vita da vivere. La mia, io l'ho regalata all'Italia».

Ahi serva Romania, di dolore ostello. All'Istituto psichiatrico Socola di Iasi, le Nicolete ricoverate sono più di duecento l'anno. Depresse, inappetenti, insonni, schizofreniche, ansiose, impanicate, allucinate, ossessionate. Impazzite. Aspiranti suicide. Badanti che prendiamo in casa e crediamo di conoscere — nel nostro Paese sono circa un milione, solo la Siria esporta in Europa più migranti della Romania — e diventano invece vite a perdere, quando tornano da dove vennero.
Il loro disturbo ha un nome scientifico che ci provoca, in quanto maggiori importatori europei d'affetto a pagamento: «Sindrome Italia». Uno stress diagnosticato e chiamato così per la prima volta da due psichiatri di Kiev: nel 2005, avevano osservato sintomi comuni a molte ucraine e romene e moldave, ma pure filippine o sudamericane. Tutte emigrate per anni ad assistere anziani nell'Europa ricca, lontane da figli e mariti.

«Più che una malattia, la "sindrome Italia" è un fenomeno medico-sociale», spiega Petronela Nechita, primaria psichiatra della clinica di Iasi: «C'entrano la mancanza prolungata di sonno, il distacco dalla famiglia, l'aver delegato la maternità a nonni, mariti, vicini di casa... Abbiamo molta casistica. S'è aggravata quando le romene dal Meridione, dove lavoravano nei campi ed erano pagate meno, si sono spostate ad assistere gli anziani del Nord Italia: tra le nostre pazienti ci sono soprattutto quelle che rifiutavano i giorni di riposo e le ore libere per guadagnare meglio, distrutte da ritmi massacranti. Nessuno può curare da solo un demente o una persona non autosufficiente: 24 ore al giorno, senza mai una sosta. Col fardello mentale di quel che ci si è lasciati alle spalle. Anch'io e lei ci ammaleremmo».

Al ritorno in Romania, la terapia della «sindrome Italia» può durare anche cinque anni e di rado la passa la mutua: 240 euro ogni dodici mesi, uno stipendio medio. Un terzo delle ricoverate tenta almeno una volta il suicidio, e spesso ci riesce. Ma è una strage silenziosa, perché di solito è la famiglia a chiedere d'aggiustare l'atto di morte: nella regione più povera dell'Ue, nella Iasi «dalle cento chiese», com'è soprannominato questo capoluogo della Moldavia romena che Bergoglio visiterà in giugno, i pope ortodossi negano funerali e cimitero a chi si toglie la vita.

( fonte: 100 giorni in Europa corriere.it https://www.corriere.it/elezioni-europee/100giorni/romania/ )



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martedì 22 gennaio 2019

Nell'anniversario della nascita di Virginia Woolf

"Leggere un romanzo è un'arte intricata e difficile. Dovete essere capaci non solo di una grande finezza nel percepire, ma anche di grande sfrontatezza nell'immaginare, se intendete fare uso di tutto ciò che il romanziere – quel grande artista – vi dà."
(Virginia Woolf, nata il 25 gennaio 1882)



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