domenica 20 novembre 2016

Antinoo a Palazzo Altemps a Roma fino al 15 gennaio

Amici del gruppo "Lib(e)ri di Leggere" che avete letto "Memorie di Adriano" della Yourcenar, vi segnaliamo la mostra di Palazzo Altemps, a Roma. Fino al 15 gennaio 2017 saranno esposti un volto e un busto identificati come il ritratto di Antinoo, il giovane amante dell'imperatore Adriano. L'uno proveniente dall'Art Institute di Chicago e l'altro dal Museo Nazionale Romano.

https://internettuale.wordpress.com/2016/11/09/ritratto-in-due-parti-antinoo-a-palazzo-altemps-a-roma-fino-al-15-gennaio/

«Sappiamo qual è il centro che per decenni venne considerato il fulcro essenziale delle Memorie di Adriano: il giovane e bellissimo Antinoo e la felicità dei sensi, l'amore e il passaggio dall'appagamento alla stanchezza, il suicidio rituale di Antinoo e la conseguente disperazione dell'imperatore, la divinizzazione dell'amato, l'incolmabile vuoto. Eppure nelle Memorie di Adriano non era certo una storia d'amore il fine dell'autrice, concentrata nel rappresentare la vita del principe condottiero e la finale e continua introspezione. Lei stessa aveva detto: prendere questa esperienza esemplare, grandiosa e umana, e farla giudicare a lui stesso al termine della vita, malato, morente. Il punto di vista era quello della morte. Non solo la morte di Adriano imperatore, ma anche quella che aveva regnato sovrana in Europa e aveva accompagnato la durata e la conclusione di altri imperi.
Non a caso l'opera esce all'inizio della seconda metà del Novecento, negli anni subito posteriori a una guerra che sconvolse il mondo, e in filigrana oggi si può ritrovare e ripensare la complessa tematica che ha avvolto la struttura del romanzo prima e dopo quei fertilissimi decenni e che si ritrova in un precipitato paradigmatico proprio qui. Marguerite Yourcenar, nelle sue opere piú importanti, si è sempre inserita tra gli scrittori esemplari del suo tempo, con risultati che potremmo chiamare simbolici. È certo possibile, anzi legittimo concludere che ci troviamo davanti a un tentativo, forse tra i piú concentrati ed estremi, di narrazione esperienziale, e quindi di meditazione interiore spirituale e filosofica»
(Francesca Sanvitale)





lunedì 22 agosto 2016

SPUNTI DI RIFLESSIONE (2a parte)

E' ORA DI LEGGERE!  (2a parte)

Attivare la rete delle biblioteche, le banche della cultura 
Quello che manca e che è mancato sino ad oggi per attivare una strategia di questo genere è una visione di sistema che coinvolga tutte le istituzioni della cultura e del libro, a partire dalle migliaia di biblioteche comunali ed ex provinciali, dove le ultime retrovie degli operatori della cultura si sono arroccati per difendere ciò che più amano e che non vedono l’ora di far scoprire e conoscere ad un pubblico più vasto. 
Giusto quindi portare il Salone e gli autori vicino al pubblico, mandarli in giro per le librerie, ma ancora prima sarebbe giusto e molto efficace portare gli autori e la cultura nelle biblioteche. Significherebbe dare fondi e nuovo impulso per mettere in moto la rete capillare e vivissima delle biblioteche di territorio, una rete di cultura dove si lotta quotidianamente per far conoscere i libri e la meraviglia del mondo attraverso di essi. E lo si fa tra i tagli di bilancio e le infrastrutture fatiscenti, oppressi e assordati dal mantra della crisi economica, del “non ci sono soldi” ripetuto anche dagli enti pubblici, fino allo scherno dell’ammonimento ottuso e mille volte smentito “con la cultura non si mangia”. Chi resiste e trova realizzazione personale in una battaglia tanto impari, oggi dovrebbe essere messo al centro di qualsiasi piano di promozione della lettura e della cultura. 
Le biblioteche di territorio, infatti, sono le nostre banche della cultura, dove oltre ai libri custodiamo lo spirito che ne riconosce e diffonde il valore di libertà, di pensiero, di cittadinanza. Ed oggi, proprio in questi tempi di crisi e di battaglie tra poveri, di populismo e razzismo ignoranti e grotteschi, proprio in questi tempi è nostro dovere ridare valore ai libri e alla visione del mondo che questi sanno suggerire. Una visione ampia, che ha coscienza di essere solo una delle possibili letture del mondo. Un pensiero consapevole dei propri limiti, della grandezza ma anche della fragilità di chi come noi abita questa terra. E proprio sulla coltivazione di questo immenso patrimonio di senso e di vitalità che esortiamo tutti noi ad investire le nostre migliori risorse, umane, culturali ed economiche.

La crisi oggi è un’opportunità di prestiti a basso costo
 
Un piano Marshall per la cultura a partire dal libro e dalla lettura è l’occasione che stiamo indicando tratteggiandone i contorni e suggerendo anche un modo per finanziarlo questo piano. Non trascuriamo qui il mantra della crisi, piuttosto lo facciamo diventare la motivazione di base per deciderci ad investire le nostre migliori risorse per regalare a noi stessi un futuro degno di questo nome. 
Un appello alla responsabilità, dei nostri governanti e di noi tutti come uomini del nostro tempo, che per due ragioni diverse ma convergenti non vede rischi nell'investire tutta la nostra fiducia nella cultura e nei luoghi dove essa è custodita sotto forma di libri, così come nell'investire il nostro denaro per creare futuro. 
In primo luogo investire il capitale custodito nelle nostre biblioteche significa mobilitarne le persone e le menti per dargli una centralità nel nostro piano Marshall della cultura. Le biblioteche sono i luoghi ideali per creare momenti di incontro e di scambio vitale attorno agli autori e ai loro libri, e quindi leggere ma anche vendere un bel po’ di libri in più. 
In secondo luogo sono i migliori economisti del mondo e premi Nobel che ci indicano la strada su come far fronte al bisogno di capitali da investire in un’operazione di rilancio della lettura e del libro. Questo il semplice ragionamento che riprendiamo dal noto economista liberale Paul Krugman. 
Se oggi c’è crisi lo si vede da come va la domanda, da come i consumi non ritornano a salire, ma questo significa anche che l’inflazione è bassa, e che i tassi di interesse dei titoli pubblici sono ai minimi storici così come lo è il costo del denaro. Se è vero che in pratica gli investitori internazionali sono disposti a prestare denaro agli Stati avendo poco o nulla in cambio, ecco che quella della crisi diventa un’opportunità. Sono gli Stati infatti i primi a beneficiare di un basso costo del denaro e con un po’ di lungimiranza potranno scoprire che questo è il momento giusto per usare questo denaro a buon mercato per investire sul nostro futuro. Coloro che dovrebbero farlo per primi sono gli stati che come la Germania e gli USA hanno rendimenti bassissimi dei loro titoli obbligazionari e che possono chiedere prestiti importanti, per ammodernare le loro infrastrutture che ne hanno un grande bisogno, e allo stesso tempo creare nuovi posti di lavoro. Certo il nostro paese non è la Germania o gli USA dove questo meccanismo può essere subito attuato, noi stiamo ancora pagando troppi interessi sul nostro debito pubblico che anche per questo continua a crescere. 
Ma se non è lo Stato italiano a progettare e finanziare il piano per la cultura potrebbe essere una società partecipata dal ministero della cultura, dagli editori e dagli enti locali coinvolti. Questa società potrebbe raccogliere le giuste garanzie e credibilità per ottenere un prestito agevolato dalle principali banche italiane che così vedrebbero il loro nome affiancato ad un’iniziativa di grande rilievo per il paese e per il bene comune. Insomma un progetto vincente per tutti: per i cittadini un beneficio tangibile nel numero e nella qualità degli eventi culturali, per gli editori un’opportunità di promuovere attraverso le biblioteche la lettura e indirettamente la vendita dei libri, per le banche e gli investitori una testimonianza del ruolo attivo che possono svolgere per la collettività. Il governo dal canto suo avrebbe la possibilità di svolgere il suo ruolo sia sociale che economico di promozione del benessere collettivo, nonché di estendere l’Art Bonus al finanziamento delle biblioteche pubbliche e della promozione della lettura, cosa che oggi invece viene esclusa da questa misura. 
Quella che stiamo indicando è un’opportunità che proprio in virtù della crisi dell’economia e del settore editoriale trarrebbe maggiore senso e una più grande efficacia. Se saremo capaci di coglierla dipende dall'intelligenza e dalla chiarezza di visione che il governo, le istituzioni culturali e il sistema editoriale di questo paese sapranno dimostrare. Ma dipende anche da quanto si faranno sentire i cittadini che amano la lettura, che ne riconoscono il valore, quei milioni di italiani che frequentano le biblioteche così come gli operatori che qui abbiamo chiamato in causa come i custodi del patrimonio del libro e della lettura. Sono loro, assieme agli autori sempre più numerosi e a tutti i lettori che almeno 1 volta all'anno rinnovano il loro legami con il libro e la lettura, ad essere chiamati a sostenere e a diffondere questa proposta. 
Facciamoci sentire dunque, diamo forma e sostanza al piano Marshall per la cultura, prendiamo in mano il nostro futuro e cogliamo l’occasione di rinnovamento del Salone del Libro per mettere una volta tanto al centro del dibattito ciò che ci permette di dibattere con libertà e civiltà e di saper argomentare e discernere. 
Non indugiamo oltre. 
È ora di leggere! 
Paolo Pelliccia 
(Commissario Straordinario Biblioteca Consorziale di Viterbo) 
27 Luglio 2016


domenica 21 agosto 2016

SPUNTI DI RIFLESSIONE (lettera aperta di Paolo Pelliccia, Commissario Straordinario Biblioteca Consorziale di Viterbo - 1a parte)

E' ORA DI LEGGERE!  (1a parte)
“Piano Marshall per la Cultura” in un Paese che ha disimparato a leggere, se stesso e il proprio futuro.

Caro Governo, Egregi Responsabili dei dicasteri della Cultura e dell’Istruzione, Editori e Librai d’Italia, a Voi rivolgiamo questa proposta che è anche un appello alla responsabilità perché per il ruolo che ricoprite siete in grado di decidere i destini del libro e della cultura nel nostro Paese.

Che fine ha fatto l’interesse comune a incentivare la lettura a prescindere dalla vendita dei libri? 
La nostra proposta di rilancio della cultura italiana sin dal titolo parla di libri e del loro potere trasformativo e creativo. Non è una sorpresa quindi che prenda le mosse dall'aria di rinnovamento che investe in queste settimane il Salone del Libro di Torino, falcidiato dal calo delle presenze (da 300.000 a 125.000 in circa 15 anni) e messo in crisi dagli arresti dell’ennesimo caso di (probabile ma ancora presunta) illegalità, favoritismi e appalti poco trasparenti. Probabilmente sarà un bene aver aperto le porte le porte agli editori dell’AIE come hanno fatto il sindaco Appendino e il governatore Chiamparino, affidandogli la responsabilità di organizzare il prossimo Salone e magari sarà una buona mossa quella di estendere il Salone sul territorio, coinvolgere Milano (come proposto dagli editori) e renderlo più vicino ai lettori e ai territori dove meno si legge. Ma la domanda che ci facciamo è ben più ampia e decisiva.
Tra le polemiche che vedono Torino contrapposta a Milano, gli editori (soprattutto i grandi) alla Fondazione e quindi agli enti pubblici locali, tra le ragioni del marketing del libro e quelle del marketing del territorio, che fine hanno fatto le ragioni della cultura, della lettura e del paese tutto? Che fine ha fatto l’interesse comune ad incentivare la lettura a prescindere dalla vendita dei libri? Dare valore al libro significa solo saperlo vendere? O forse sarebbe il caso di puntare sul valore che la lettura di almeno 5 libri all'anno possono produrre nella vita di una persona a prescindere dal fatto che questi libri siano stati comprati o presi in prestito da una biblioteca?
Certo, gli editori sono un pilastro del sistema culturale e i libri hanno un costo di produzione e un mercato che vanno nutriti e alimentati, ma l’occasione di un rinnovamento del più importante appuntamento del libro in Italia non può essere solo orientata al profitto e condizionata dallo scontro tra territorio e cordate imprenditoriali. Se vuole arrivare anche a fare profitti e quindi a rilanciare per davvero la lettura in questo paese si dovrà dare spazio a una vera valorizzazione del libro che non è solo quella del marketing ma è prima di tutto quella della cultura che il libro può alimentare e dei significati che troviamo in un libro capaci di cambiare una vita.
Come dire che per dare forza al libro bisogna puntare sulla qualità e non sulla quantità, sull'impegno e non solo sul divertimento, sulla decifrazione del mondo e della sua meravigliosa complessità e non solo sulla esecuzione di ricette e metodi. In ultimo sulla lettura e non solo sull'acquisto dei libri.
È probabile che sia proprio il disaccordo su queste diverse ma del tutto conciliabili e complementari visioni, il motivo principale delle divisioni interne tra piccoli e grandi editori che mercoledì 27 dovranno decidere delle sorti del Salone del Libro. I grandi editori andranno a presentare all’AIE il progetto di una manifestazione parallela e concorrente al Salone di Torino, organizzata a Milano, e che peraltro molti degli editori non hanno ancora avuto modo di conoscere. Non sembrano queste le migliori premesse per dare forza al libro e alla lettura.

Dal Salone del Libro al Piano Marshall per la cultura 
L’occasione del cambio della guardia al Salone del Libro tra Fondazione ed AIE, può essere un’opportunità per tutto il sistema culturale italiano se si approfondiscono le motivazioni della rivendicazione degli editori grandi e piccoli e si evita di schiacciare il tutto sulla necessità di rilanciare il marketing del libro senza parlare del livello culturale degli italiani, senza guardare alle macerie di un sistema editoriale mangiato dalla digitalizzazione e rattoppato dall'industria della narrativa e della manualistica da supermercato o autogrill. L’occasione è quella di lanciare un piano Marshall di investimenti per la cultura, per il rilancio del libro e della lettura in un paese dove meno della metà degli italiani leggono un 1 libro all'anno. Un piano che sappia fare sistema e a partire dalla biblioteche di territorio attivi l’editoria, le scuole, i festival e le manifestazioni culturali per ridare futuro ad un paese che ha disimparato a leggere, i libri come il proprio presente.
(segue 2a parte)

martedì 19 luglio 2016

Dedicato al nostro blog UNA POLTRONA PER LEGGERE

"Una poltroncina comoda non è di nessuna utilità se non hai un libro da leggere. "

IMPARA ! IMPARA !

Di imparare non si finisce mai. E quel che non si sa,
è sempre più importante di quel che già si sa.
-Gianni Rodari-

martedì 5 luglio 2016

I miei 3 motivi per leggere “Atti osceni in luogo privato” di Marco Missiroli

1.   La copertina

Anche se qualcuno può trovarla "(dis)turbante", penso che sia una delle più azzeccate e accattivanti copertine che io mi ricordi: si tratta della riproduzione di una celebre fotografia di Erwin Blumenfeld del 1967, "Holy Cross (In hoc signo vinces)", che è stata esposta al MoMA e della quale dice Libero, il protagonista del libro, quando vi si imbatte, appunto, a New York: «[…] c'era quest'opera su sfondo bianco con quattro linee curve che si lambivano e davano forma a una croce o a una feritoia, feci un passo indietro e capii che era il punto dove i glutei e le gambe convergono. Lo fissai, delicato e ambiguo, brutale: quel corpo mi conteneva».

Un'immagine esplicita, ma non volgare, come il romanzo. 

 

2.   Le ambientazioni

Parigi, Milano e New York: le tre città, che non potrebbero essere più distanti – non solo nello spazio – l'una dall'altra, vanno al di là del fare da sfondo alla narrazione di Libero. Descritte con sentimento quasi di gratitudine, sono protagoniste del romanzo, assieme ai loro personaggi, ai quartieri e ai locali dove Libero incrocia la sua storia con quella intellettuale, politica e sociale che si sviluppa tra gli anni '70 e '90.

 

3.   Le citazioni

Nel romanzo, l'autore cita libri a profusione: per Libero, sono tutti, anch'essi, primi amori, scoperte, colpi di fulmine, tutti prospettano una metafora di costruzione e collocamento del sé.

Sono davvero molti (e spero di averli intercettati tutti quanti), ma credo che l'elenco possa essere, oltre che un omaggio a ciascuno di essi, un suggerimento invitante alla loro lettura o rilettura:

-      "Orgoglio e pregiudizio" (Austen)

-      "Lo straniero" (Camus)

-      "Il deserto dei Tartari" (Buzzati)

-      "Un amore" (Buzzati)

-      "Lolita" (Nabokov)

-      "Per chi suona la campana" (Hemingway)

-      "La città e i cani" (Varga Llosa)

-      "Il giovane Holden" (Salinger)

-      "Fontamaro" (Silone)

-      "1984" (Orwell)

-      "Il filo del rasoio" (Maugham)

-      "Favole al telefono" (Rodari)

-      "Il commesso" (Malamud)

-      "L'amante" (Duras)

-      "Albertine Scomparsa" (Proust, "La recherche")

-      "Lettera al mio giudice" (Simenon)

-      "Il vecchio e il mare" (Hemingway)

-      "Mentre morivo" (Faulkner)

-      "L'insostenibile leggerezza dell'essere" (Kundera)

-      "Il diario di Anne Frank"

-      "Addio alle armi" (Hemingway)

-      "La collina dei conigli" (Adams)

-      "Meccanica popolare" (Carver)

-      "Il buio oltre la siepe" (Harper Lee)

-       "L'arte dell'attesa" (Whitman, poesie)

 

"Missiroli sembra voler parlare al suo pubblico, in qualche modo educarlo. Perché l'educazione dell'individuo passa da queste cose, dalle sue letture, dalle sue frequentazione, da quanto viaggi e da quanto conosca, e dal sesso, dalla capacità di esplorarsi, sia fisicamente che mentalmente"

(Gianmaria Tammaro - scrive su La Repubblica XL, Wired, GQ, Rolling Stone, fanpage.it, Linkiesta, Campania su Web e Fumettologica)


Buona estate e buona lettura a tutti!

Luisa



giovedì 16 giugno 2016

LA MODERNITÀ DI "MADAME BOVARY"

"Anela all'amore come una carpa su un tavolo di cucina anela all'acqua"

Quattordici ragazzi seduti sulle scale all'aperto ad ascoltare una storia scritta 160 anni fa.

Perché tutti siamo stati, o siamo, Emma Bovary. E a quattordici anni ancora di più. Ogni singola volta che la realtà è il vero incubo, e il sogno l'unica realtà.

(Enrico Galliano prof.)

A conclusione di un altro anno di incontri del nostro gruppo lettura

VIVERE IL LIBRO IN MODO COMPLETO: L'ESPERIENZA DI UN GRUPPO LETTURA

Leggere un bel romanzo è una bella esperienza ma condividerla con altre persone che hanno letto lo stesso libro contemporaneamente vi assicuro è molto più bello. Per quanti non abbiano ancora avuto l'occasione di partecipare ad un gruppo di lettura, il funzionamento è semplice: grazie a diversi metodi di diffusione dell'iniziativa, che possano essere la promozione dell'evento in libreria, in biblioteca o sui social, si comunica agli interessati il titolo da leggere e la scadenza prefissata, al termine della quale ci si incontra e si scambiano opinioni, mediati da un moderatore che presenta l'autore e il testo, sulle varie caratteristiche dell'opera (personaggi, ambientazioni, ritmo, stile narrativo etc).
Superato lo scetticismo iniziale, ho iniziato a partecipare ad uno di questi gruppi e mi sono reso conto ancor di più che la fruizione di un testo letterario è un'esperienza strettamente personale il cui esito non dipende solo dal testo stesso. Infatti il modo di interpretarlo e le modalità di ricezione dipendono tantissimo dalla sensibilità del lettore.
Quest'ultimo infatti non è una tabula rasa sulla quale lo scrittore inscrive le proprie storie e le proprie verità, ma è un essere che pensa e agisce, che vive in una determinata comunità, che ha una storia, una cultura, delle aspettative, dei pregiudizi, e con questo bagaglio si pone nei confronti di quanto legge, e quindi non solo capisce e interpreta ma spesso si indigna, si affeziona o si rattrista a modo suo.
In altri termini l'esperienza di lettura è il risultato dell'interazione fra due poli, il testo e il lettore, il cui risultato non è mai lo stesso ma cambia da persona a persona. A volte uno stesso lettore leggendo lo stesso libro può avere un'esperienza totalmente diversa in funzione del suo stato d'animo di quel particolare momento.
Altra considerazione: tutti i testi si presentano con ampi spazi di indeterminatezza che ogni singolo lettore può riempire. Ad esempio nessuna descrizione è talmente dettagliata da non consentire l'intervento della nostra immaginazione. Naturalmente ogni lettore, anche in questo caso, produce immagini a modo suo in base alla sua sensibilità e alle sue esperienze. Questo è il motivo principale che spesso si prova davanti alla riduzione cinematografica di un film.
Questa fruizione relativa rende l'idea di come non si possa avere una lettura "giusta" o "sbagliata" di un testo, ma semplicemente diversa. Ed è proprio da questo punto di partenza che può diventare estremamente prezioso provare il desiderio di condividere il frutto della propria soggettività con altri lettori. Un fattore di completezza che solo il confronto diretto riesce a garantire.
Giorgio Regnani ( imprenditore nel campo dell'editoria )

lunedì 13 giugno 2016

Omaggio a Yeats e Pessoa

Il 13 giugno nascevano due tra i più importanti protagonisti della poesia tra l''800 e il '900: William Butler Yeats, nato a Dublino nel 1865 da una famiglia di origine inglese e Fernando Pessoa nato nel 1888 a Lisbona, considerati rispettivamente il più grande poeta d'Irlanda e il maggior poeta di lingua portoghese (Pablo Neruda lo definì il poeta più rappresentativo del XX secolo).

Yeats pubblicò la sua prima raccolta di poesie ("The wonderings of Oisin") nel 1889, a soli 24 anni e nel 1923 vinse il premio Nobel per la letteratura "per la sua poetica sempre ispirata, che con alta forma artistica ha dato espressione allo spirito di un'intera nazione".  Per la malferma salute spese i suoi ultimi anni in paesi caldi e morì nel 1939 nel sud della Francia. La Repubblica Irlandese mandò una nave da guerra a recuperarne il corpo, che giace, per volontà stessa del poeta, nel cimitero di Drumcliff, Sligo, sotto la montagna di Ben Bulben a cui aveva dedicato una delle sue ultime poesie e da cui sono tratte le parole del suo epitaffio: "Cast a cold eye, on death on life, horseman pass by".

Pessoa, dopo aver vissuto, dal 1896 al 1905, a Durban in Sudafrica, trascorse il resto della vita, alternando il suo lavoro con la collaborazione ad alcune riviste letterarie, in una stanza ammobiliata in affitto a Lisbona, dove sarebbe morto in solitudine nel 1935, rimanendo a lungo pressoché sconosciuto al mondo editoriale ed al grande pubblico. Solo dopo la sua morte si scoprì la grande quantità di scritti, in versi e in prosa, prodotti (ritrovati in un famoso baule), inclusi quelli che aveva pubblicato come opera di vari «eteronimi» (Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campos). La sua fama iniziò a diffondersi, in Portogallo e poi in Brasile, a partire dal 1940 e tutte le sue opere furono pubblicate postume.  


INNISFREE, L'ISOLA SUL LAGO (di William Butler Yeats)

Mi leverò e andrò, ora, andrò a Innisfree,

E costruirò una capanna laggiù, fatta d'argilla e canne,

Nove filari a fave avrò laggiù, un'arnia per le api da miele,

E solo starò nella radura ronzante d'api.


E avrò un po' di pace laggiù, ché la pace discende goccia a goccia,

Discende dai velami del mattino fin dove canta il grillo;

La mezzanotte è tutto un luccichio, il meriggio purpurea incandescenza,

La sera è piena d'ali di fanello.

 

Mi leverò e andrò, ora, ché sempre notte e giorno

Odo l'acqua del lago lambire con lievi suoni la sponda;

Stando in mezzo alla strada, sui marciapiedi grigi,

La sento nella fonda intimità del cuore.


NON STO PENSANDO A NIENTE (di Fernando Pessoa)

Non sto pensando a niente,

e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,

mi è gradita come l'aria notturna,

fresca in confronto all'estate calda del giorno.

 

Che bello, non sto pensando a niente!

 

Non pensare a niente

è avere l'anima propria e intera.

Non pensare a niente

è vivere intimamente

il flusso e riflusso della vita…

Non sto pensando a niente.

È come se mi fossi appoggiato male.

Un dolore nella schiena o sul fianco,

un sapore amaro nella bocca della mia anima:

perché, in fin dei conti,

non sto pensando a niente,

ma proprio a niente,

a niente…





 

lunedì 30 maggio 2016

Spunti di riflessione da "Fahrenheit 451"

«Un tempo, i libri si rivolgevano a un numero limitato di persone, sparse su estensioni immense. Ed esse potevano permettersi di essere differenti. Nel mondo c'era molto spazio disponibile, allora. Ma in seguito il mondo si è fatto sempre più gremito di occhi, di gomiti, di bocche. La popolazione si è raddoppiata, triplicata, quadruplicata. Film, radio, riviste, libri si sono tutti livellati su un piano minimo, comune, una specie di norma dietetica universale se mi intendi. Mi intendi?»
«Credo di sì».
«Immagina tu stesso: l'uomo del diciannovesimo secolo coi suoi cavalli, i suoi cani, carri carrozze, dal moto generale lento. Poi, nel ventesimo secolo, il moto si accelera notevolmente. I libri si fanno più brevi e sbrigativi. Riassunti. Scelte. Digesti. Giornali tutti titoli e notizie, le notizie praticamente riassunte nei titoli. Tutto viene ridotto a pastone, a trovata sensazionale, a finale esplosivo».
«Finale esplosivo» e Mildred annuì, approvando.
«Le opere dei classici ridotte così da poter essere contenute nei quindici minuti di programma radiofonico, poi riassunte ancora in modo da stare in una colonna a stampa, con un tempo di lettura non superiore ai due minuti; per ridursi alla fine a riassuntino di non più di dieci, dodici righe di dizionario. Ma eran molti coloro presso i quali la conoscenza di Amleto (tu conosci certo questo titolo, Montag) si riduceva al "condensato" d'una pagina in un volume che proclamava: "Ora finalmente potrete leggere tutti i classici; non siate inferiori al vostro collega d'ufficio!". Capisci? Dalla nursery all'università e da questa di nuovo alla nursery. Questo l'andamento degli uomini degli ultimi secoli».
«Basta seguire l'evoluzione della stampa popolare: Clic! Pic! Occhio, Bang, Ora, Bing, Là! Qua! Su! Giù! Guarda! Fuori! Sali! Scendi! Uff! Clac! Eh? Pardon! Etcì! Uh! Grazie! Pim, Pum, Pam! Questo il tenore dei titoli. Sunti dei sunti. Selezione dei sunti della somma delle somme. Fatti e problemi sociali? Una colonna, due frasi, un titolo. Poi, mezz'ora, tutto svanisce. Il cervello umano rotea in ogni senso così rapidamente, sotto la spinta di editori, sfruttatori, radio speculatori, che la forza centrifuga scaglia lontano e disperde tutto l'inutile pensiero, buono solo a farti perdere tempo».
«La durata degli studi si fa sempre più breve, la disciplina si allenta, filosofia, storia, filologia abbandonate, lingua e ortografia sempre più neglette, fino ad essere quasi del tutto ignorate. La vita diviene una cosa immediata, diretta, il posto è quello che conta, in ufficio o in fabbrica, il piacere si annida ovunque, dopo le ore lavorative. Perché imparare altra cosa che non sia premere bottoni, girare manopole, abbassar leve, applicar dadi e viti? La chiusura lampo ha spodestato i bottoni e un uomo ha perduto quel po' di tempo che aveva per pensare, al mattino, vestendosi per andare al lavoro, ha perso un'ora meditativa, filosofica, perciò malinconica. La vita così diviene un'immensa cicalata senza costrutto, tutto diviene un'interiezione sonora e vuota».

(Ray Bradbury, da "Fahrenheit 451")



lunedì 14 marzo 2016

PONTIGGIA - Nati due volte

Il Book in progress di marzo comincia a piacermi .... Vorrei soffermarmi su questa citazione :

Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde "razza umana", non ignora le differenze, le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera. È questo il paesaggio che si deve aprire: sia a chi fa della differenza una discriminazione, sia a chi, per evitare una discriminazione, nega la differenza.

domenica 13 marzo 2016

ANNIBALE Un viaggio di PAOLO RUMIZ

Rumiz percorre il viaggio compiuto da Annibale attraverso il Mediterraneo , la Spagna, l'Italia,l'Armenia ed infine il Bosforo, dove si conclude la vita di questo grande condottiero.
Una ricostruzione storica del personaggio di Annibale con le sue abilità guerriere , le sue idee e le sue paure ed un reportage di viaggio sul suolo italico che Rumiz affronta, accompagnato da studiosi e ricercatori di storia antica ,  con curiosità , determinazione appellandosi non solo agli scritti di Polibio ma anche alla realtà attuale.
Un interessante percorso tra Nord e Sud Italia , Occidente ed Oriente , differenze culturali , globalizzazione e uno sguardo ai ns. tempi.
Rumiz scrive:
"Torna la grande domanda del viaggio : perché negli italiani di oggi non è rimasto niente della romanità?Perché la più grande classe dirigente del mondo antico è scomparsa nel nulla senza lasciare eredi? Che cosa ha cancellato quell'ineguagliabile senso della res publica che segnò Roma al tempo di Annibale? "
Un libro da leggere
Loredana
 
 

sabato 12 marzo 2016

Il manifesto di Kerouac

Dici Beat Generation e pensi alla gioventù bruciata americana degli anni '50, a Burrought, ad Allen Ginsberg, e soprattutto a Jack Kerouac. Dici Jack Kerouac e pensi a "Sulla strada" ("On the road") . Dici "On the road" e pensi a passaggi in autostop e lunghe distanze percorse su autobus che corrono dall'Est all'Ovest americano, e giù fino al Messico, alla ricerca di una libertà materiale e spirituale che si contrappone alla vita borghese e moralista americana e si ribella ai principi del capitalismo, alla ricerca della conoscenza interiore che si fonda sull'esperienza, alla ricerca di una vita audace e disinibita ed eccessiva che contempla la sperimentazione estrema di droghe, alcol e sessualità. Il viaggio nomade, visionario, avventuroso, estremo e, alla fine, forse, inconcludente per eccellenza.  

Oggi, nell'anniversario della sua nascita, il 12 marzo 1922, rendiamo dunque omaggio a Jack Kerouac e al suo romanzo più celebre, che oltre ad essere il manifesto del movimento Beat fu anche la prima opera cui sia stato riconosciuto  di aver creato un nuovo genere stilistico di prosa "spontanea".


"Beat, è il beat da tenere, è il beat del cuore, è l'essere beat e malmessi al mondo e come l'essere a terra ai vecchi tempi e come nelle antiche civiltà gli schiavi ai remi che spingevano le galere a un beat e i servi che facevano vasi a un beat."  (Jack Kerouac)

lunedì 7 marzo 2016

LA MASSERIA DELLE ALLODOLE ( ANTONIA ARSLAN - Padova 1938)

Antonia Arslan con il suo libro "la masseria delle allodole" scrive del genocidio degli armeni dando voce alla sua identità armena, vince il premio Strega, ed in seguito i fratelli Taviani lo portano sullo schermo . Il  governo turco vieta la proiezione del film nel proprio paese. In questo libro la scrittrice attinge alle memorie familiari per raccontare la storia di un popolo  mite e fantasticante, gli "Armeni"  e la nostalgia struggente per una patria ed una felicità perdute.
Yerwant ha lasciato la casa paterna tredicenne per studiare nel collegio armeno a Venezia. Dopo quasi quarant'anni sta ultimando i preparativi per rientrare alla masseria delle allodole, ma gli eventi precipitano, siamo nel 1915 l'Italia entra in guerra e chiude le frontiere, mentre il partito del Giovani Turchi insegue il mito della Grande Turchia in cui non c'è posto per le minoranze. Non ci sarà dunque festa alla masseria delle allodole per il suo rientro, ma solo "orrore e morte". Per le donne armene della masseria e del piccolo paese incomincia un'odissea di marce forzate, campi di prigionia, fame e sete, umiliazioni e crudeltà. Nel loro cammino verso il nulla, madri, figlie e sorelle si aggrappano disperatamente all'esistenza e tengono accesa la speranza. Sarà grazie alla loro tenacia, al loro sacrificio e all'aiuto disinteressato di chi rifiuta di farsi complice della violenza che tre bambine e un maschietto vestito da donna riusciranno a salvarsi e a raggiungere Yerwant in Italia.
Nel 2010 sono stata in Turchia, alla giovane guida che accompagnava il tour ho chiesto della storia degli armeni, mi ha risposto che la Turchia ha aperto gli archivi e gli armeni no, del film dei fratelli Taviani e del libro non ne sapeva nulla. Ho  suscitato comunque il suo interesse e salutandomi alla partenza ha detto 'mi informerò meglio'.
Oggi alla luce di quanto la ricerca storica ha prodotto è impossibile negare o ridurre il genocidio. I massacri della popolazione cristiana (armeni, siro cattolici,siro ortodossi, assiri, caldei e greci) avvenuti in Turchia tra il 1915-1916 sono ricordati dagli armeni come Medz yeghern "il grande crimine". Le uccisioni incominciarono nella notte tra il 24 e 25 aprile del 1915.D'all'inizio del 1915 gli armeni maschi in eta di servizio militare erano stati concentrati in "battaglioni di lavoro" e poi uccisi dall'esercito turco, mentre il resto della popolazione era stato deportato verso la regione di Deir ez Zor in Siria con marce della morte. Pari siano stati circa 1,2 milioni i morti.  I paesi che riconoscono ufficialmente il genocidio armeno sono 22, tra cui l'Italia .
Ricordo questi frammenti importanti di storia perchè la storia ci aiuta a conoscere, a  non dimenticare ,a non ripetere gli errori del passato.
FIORANGELA BARACCHI

p.s. ricordo per chi ne fosse interessato che a Venezia esiste l'isola di San Lazzaro degli armeni. Pochi uomini nella laguna veneziana, sono stati in grado di salvare, negli ultimi tre secoli, un'antica storia nazionale. Hanno prodotto, per il proprio popolo, una rinascita artistica, letteraria e sociale. Da visitare.

Nel 2015, in occasione del trecentesimo anniversario dell'arrivo di Mechitar a Venezia e del centesimo anniversario del genocidio, l'isola ha ospitato il Padiglione della Repubblica d'Armenia della Biennale, che ha vinto il Leone d'oro per la migliore partecipazione nazionale.

domenica 6 marzo 2016

CHAIM POTOK GRANDE CANTAUTORE DEGLI EBREI (NEW YORK 1929 - MERION PENSYLVANIA 2002)


Vorrei ricordare CHAIM POTOK attraverso un'intervista rilascita a Repubblica nel 1998  all'Hotel Manin di Milano.

Il nonno di mio padre fuggì dalla Russia per evitare i trentacinque anni di servizio militare che gli toccavano come suddito di Nicola I. Scappò fino a Lvov, in Polonia, si fece mugnaio e prese come nome Potok che significa "corso d'acqua veloce". Dunque Chaim, lo scrittore, non sapeva se discendeva da un Coen (un sacerdote), da un Levi (un levita aiutante dei sacerdoti nei lavori del Tempio) o da un semplice figlio di Israele, se ai maschi della sua famiglia sarebbe dovuto toccare un seppur minimale ruolo religioso nella comunità. Ma suo padre - un pio chassid arrivato a   Brooklyn dalla natia Lvov - voleva che facesse il rabbino. Chaim però, a 17 anni, si trovò tra le mani il Ritratto dell'autore da giovane di Joyce, lo lesse, comprese "il senso del potere che il linguaggio e l'immaginazione hanno ai fini dell'organizzazione dell'esperienza", e decise che non avrebbe fatto il rabbino, ma lo scrittore.

Non solo. Decise anche che avrebbe scritto degli ebrei di Brooklyn, e quindi, per aver più dimestichezza con la loro cultura, si iscrisse al Jewish Theological Seminary di New York. C'era la guerra di Corea. Chaim ci passò sedici mesi. Tornò con un'altra chiara determinazione: avrebbe scritto dei rapporti tra gli ebrei e la cultura occidentale. Doveva conoscere meglio pure questa, e si iscrisse all'Università della Pennsylvania per studiare filosofia, concentrandosi su Kant.

La scena letteraria americana era dominata da ebrei come Saul Bellow, Bernard Malamud, Joseph Heller. Quando, nel 1967, Potok pubblicò Danny l'eletto, la sorpresa fu enorme. 
 In quel pomeriggio del settembre 1998, Potok mi disse: " io davo la descrizione di un mondo religioso americano che poteva essere gustato anche dai non ebreie questo era molto insolito. Gli altri autori cercavano di scappare via dall'ebraismo o magari non ci erano mai stati dentro". Poi aggiunse con aria di sfida: "Perché James Joyce, così irlandese, aveva parlato a me? Il romanzo è un genere che può rendere universale le esperienze più particolari, ma a patto che si abbia una buona storia, una storia che permetta di trattare questioni come i rapporti umani di base, la responsabilità verso gli altri, il tradimento di sé o della comunità".Una buona storia: pareva di ascoltare Martin Eden. Con fatica cercavo di riportarlo alle radici, all'ebraismo, alla questione religiosa che afferra i suoi personaggi nella prima infanzia e poi li domina, li stringe, li costringe a scelte tremende sul piano esistenziale. Il protagonista di In principio, per esempio, che tradisce il Talmud per lo studio storico-critico della Bibbia. O Asher Lev, il pittore che, come Chagall, dipinge crocifissi.

Potok, lo scrittore di successo, ascoltava cortesemente, quindi, rispondendo, faceva capire quant'ero ingenua. La storia di Chagall non sarebbe stata una buona storia. Perché "Chagall non lascia l'ebraismo, mentre Asher Lev cerca di restarci. Se fai delle cose fuori dalla tua tradizione, il mondo religioso cui appartieni preferisce che tu ti allontani, che lo abbandoni. Se resti li fai diventare pazzi perché si sentono messi in discussione". La materia che nei suoi romanzi resta incandescente, nella conversazione era raffreddata, solida, ben definita. A una domanda sul senso della memoria per gli ebrei diede una bella risposta da conferenziere: "Gli ebrei hanno inventato la storia, nella Bibbia c'è l'idea che il tempo ha un inizio e una fine e che noi andiamo in una direzione precisa, verso un fine che - lo speriamo tutti, ebrei e cristiani - sarà un fine buono. Diffondendosi col cristianesimo, la concezione biblica del tempo ha la meglio su quella dei pagani: ciclica, che voleva il destino dell'uomo modellato sul ciclo delle stagioni. L'idea biblica del tempo ha mutato il destino dell'Occidente. Se la storia ha un fine, bisogna progettare".



sabato 5 marzo 2016

L'AMICO RITROVATO


L'amico ritrovato di Fred Uhlman (1901-1985), pubblicato nel 1971 è un romanzo breve, che racconta l'amiciza di un ragazzino ebreo, Hans, e di un coetaneo tedesco Konradin. Il libro è ambientato durante le dittatura nazista ed è ispirato alla vita dell'autore.
L'amicizia tra Hans e Konradin è messa a dura prova dalle leggi razziali, tanto che Hans dovrà fuggire all'estero e scoprirà la verità sull'amico soltanto dopo la seconda guerra mondiale.  La vita dunque li allontana e  non soltanto logisticamene, ma anche idealmente, perchè Konradin ammette la sua fascinazione per Hitler arrivando perfino a sostenere che è stato mandato da Dio per risollevare le sorti della Germania.
Hans negli USA ricostruisce la sua vita, si rifiuta di tornare in Germania e di sapere qualsiasi cosa sul destino di Konradin.
Molti anni dopo riceve un opuscolo dal suo vecchio liceo a Stoccarda con la richiesta di un contributo per la costruzione di una memoriale agli studenti caduti in guerra. Hans turbato non vuole conoscere il contenuto della lista, ma poco prima di stracciare l'elenco  scopre che Konradin è stato impiccato per aver parteciapato al complotto per uccidere Hitler.
L'amiciza quindi nasce, si consolida, si spezza, si ricompone . Konradin resosi conto dell'errore commesso non esiterà e sacrificare la propria vita nel tentativo eroico di far cessare l'incubo nazista, partecieperà al complotto per uccidere il Fuhrer (1), e Hans ritroverà il suo amico.
Hans quindi ritrova l'amico nel momento stesso in cui scopre la condanna di lui per quanto avvenuto. Tutto il libro è quindi secondo me un richiamo affinchè tali barbarie non si ripetano nel mondo,   e il popolo tedesco riconosca l'olocausto. Non dimentichiamo  che nel 1971 ancora i tedeschi faticavano ad ammettere quanto accaduto, e le nuove generazioni  dicevano ..io non c'ero.... La condanna per quanto avvenuto, la caduta del muro e delle ideologie ha avvicinato sempre di più i popoli dell'europa. Speriamo di suonare sempre di più l'inno europeo per un futuro migliore

Fiorangela Baracchi

(1) Trattasi della ormai famosissima operazione Valchiria del 20 luglio 1944, un fallito piano per eliminare Hitler che portò, come rappresaglia, all'arresto di 5000 persone e all'esecuzione di circa 200.







venerdì 4 marzo 2016

PIETRA DI PAZIENZA - di Ratiq Rahimi, Kabul 1962.

La vicenda si svolge in una sola stanza, una camera da letto,sul materasso e' disteso un uomo, guarda nel vuoto e da un ago infilato nel braccio riceve del liquido,
accanto a lui c'è una donna : sua moglie, sta pregando con una mano sul cuore. Così inizia il monologo confessione della donna. L'uomo diviene ai suoi occhi "pietra pazienza", una pietra magica che è in grado
di assorbire infelicità e frustrazioni. E la donna racconta all'uomo in coma episodi della sua vita che non ha mai confessato a nessuno.Finalmente puo' parlargli liberamente di cosa prova, cosa sente, cosa percepisce, rivelare i suoi lati intimi senza timore o vergogna.
Il suo essere donna riesce finalmente a esplodere contro una serie di imposizioni culturali e religiose che sempre l'hanno costretta a tacere e dissimulare. I suo monologo sottintende la possibilità e il rischio di essere ascoltata, e forse vuole essere ascoltata e capita. La PAROLA si trasforma in strumento di affermazione , nel mezzo per raggiungere quella LIBERTA' di cui normalmente nessuna DONNA in Afghanistan potrebbe mai godere. 
BUON 8 MARZO A TUTTE LE DONNE

FIORANGELA BARACCHI

martedì 1 marzo 2016

Omaggio a Eco

Dopo che per giorni tutte le televisioni, le radio, i giornali, il web hanno sviscerato con ogni grado di profondità la vita, le opere, le citazioni di Umberto Eco, scomparso lo scorso 19 febbraio all'età di 84 anni, vorremmo anche noi, nel nostro piccolo rendere omaggio al celebre romanziere, semiologo, storico, geografo, intellettuale.  E già che chi lo conosceva intimamente ce ne ha dato, in questa occasione, un'immagine di uomo dotato di grande humour oltre che di risaputa cultura ed intelligenza, ci piace ricordarlo con queste "40 regole per parlare bene l'italiano" tratte da "La Bustina di Minerva" (ed. Bompiani, 2000). 

Umberto Eco fece suo e lo modulò sull'italiano un vademecum in inglese molto popolare tra i writer americani sul come si debba scrivere bene: «Ho trovato in internet una serie di istruzioni su come scrivere bene. Le faccio mie, con qualche variazione, perché penso che possano essere utili a molti, specie a coloro che frequentano le scuole di scrittura».

1.       Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

2.       Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

3.       Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

4.       Esprimiti siccome ti nutri.

5.       Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

6.       Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

7.       Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.

8.       Usa meno virgolette possibili: non è "fine".

9.       Non generalizzare mai.

10.   Le parole straniere non fanno affatto bon ton.

11.   Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: "Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu."

12.   I paragoni sono come le frasi fatte.

13.   Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s'intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

14.   Solo gli stronzi usano parole volgari.

15.   Sii sempre più o meno specifico.

16.   L'iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.

17.   Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

18.   Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

19.   Metti, le virgole, al posto giusto.

20.   Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

21.   Se non trovi l'espressione italiana adatta non ricorrere mai all'espressione dialettale: peso el tacòn del buso.

22.   Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono "cantare": sono come un cigno che deraglia.

23.   C'è davvero bisogno di domande retoriche?

24.   Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell'inquinamento dell'informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.

25.   Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

26.   Non si apostrofa un'articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.

27.   Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

28.   Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

29.   Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.

30.   Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l'autore del 5 maggio.

31.   All'inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

32.   Cura puntiliosamente l'ortograffia.

33.   Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

34.   Non andare troppo sovente a capo.

Almeno, non quando non serve.

35.   Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

36.   Non confondere la causa con l'effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.

37.   Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le   premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

38.   Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.

39.   Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

40.   Una frase compiuta deve avere.

 

E per finire, volendo salutare il maestro Eco restando in quest'aura di buonumore, suggeriamo la lettura di "Come viaggiare con un salmone", il primo libro, insieme a "Pape Satàn Aleppe", che Umberto Eco ha pubblicato con La nave di Teseo. Si tratta di una raccolta istruzioni divertenti e irriverenti per situazioni sui generis: come mettere a punto delle vacanze intelligenti, come sopravvivere alla burocrazia, come mangiare in aereo, come viaggiare con un salmone al seguito, come evitare il carnevale o come evitare di essere contagiati da svariate malattie, come non cedere all'ossessione della visibilità, e molto altro. Un libro che ci guida nella selva delle nostre giornate, nella consapevolezza che la vita scorre per lo più tra piccole cose, incontri fortuiti, piccoli problemi, e non tra dilemmi amletici e interrogativi sull'essere, che occupano solo una piccolissima porzione del nostro tempo, pur essendo l'unica cosa che conta.