domenica 4 novembre 2018

Gruppi di lettura: come crearne e uno e farlo vivere felice

CHE COS'È UN GRUPPO DI LETTURA?

Proviamo a rispondere nel modo più semplice possibile:

il gruppo di lettura è un insieme di lettori che decidono di condividere, parlandone, la loro lettura privata di uno stesso libro. Lettura privata va intesa come: ciascuno per proprio conto.
È una definizione approssimativa e molto generica dei diversi tipi di gruppi di lettura che conosciamo: è utile per cominciare; in alcuni casi è necessario renderla più specifica.

Ma quali sono le caratteristiche fondamentali di un gruppo di lettura?
Questa, invece, è una domande alla quale credo sia inutile provare a rispondere. Ci costringerebbe a selezionare, a fare una classifica di caratteristiche, magari ad escluderne.
Finiremmo nel tunnel della ricerca della presunta essenza di un Gdl, in un esercizio di definizione rischioso – che potrebbe anche portare a escludere qualche gruppo. Operazione dunque che ci allontanerebbe da quel che ci interessa: creare, sviluppare, vivere un gruppo di lettura.

STRUMENTI E REGOLE (premessa)

Seguiamo una strada più pratica; mettiamo a punto alcuni strumenti, e regole del gioco (flessibili, reversibili, modificabili via via che si gioca) che sappiamo che funzionano e che sicuramente aiutano a fare un gruppo di lettura.
Sono "strumenti" e "regole" ricavate da anni di frequentazione dei gruppi di lettura ma anche da esperienze di dialogo con altri lettori su cosa succede nei loro Gdl.
Alcune idee sono però anche frutto di attività ancora più estemporanee: conversazioni con altri lettori che non fanno parte di gruppi di lettura ma che esprimono interesse per la condivisione della lettura; domande di lettori ignari di come funzioni un Gdl; oppure di lettori scontenti della loro esperienza nei gruppi. Alcune cose le ho ovviamente imparate dal lavoro di alcuni bibliotecari.

OLTRE LE BIBLIOTECHE (premessa 2)

A proposito di bibliotecari, è d'obbligo un'altra premessa. Non pretendo in alcun modo di occupare lo spazio concettuale e pratico abitualmente occupato dal lavoro e dalle idee dei bibliotecari. Sappiamo che è soprattutto nel quadro della loro attività che, in Italia soprattutto, sono nati e si sono sostenuti negli anni decine di gruppi di lettura. E in questo quadro si è prodotto anche molto lavoro di divulgazione su "come fare". È però un lavoro che ha avuto soprattutto altri bibliotecari come interlocutori.
Qui vorrei invece rivolgermi ai lettori, da lettore. Sia perché il ruolo dei lettori anche sul piano organizzativo, nei gruppi che si creano e svolgono le loro attività nell'ambito delle biblioteche, è sempre più importante per la salute dei Gdl; sia perché il fenomeno dei gruppi di lettura manifesta ormai segni di vitalità anche fuori e indipendentemente dalle biblioteche.
È quindi  e soprattutto pensando a un gruppo di lettura totalmente o almeno in parte autogestito dai lettori che ho raccolto quello che ho scritto qui.

REGOLE DEL GIOCO

Cominciamo con alcuni "consigli" elementari, fondati su alcune regole del gioco. Alcuni di questi consigli, per essere applicati, richiedono l'uso di "strumenti" dei quali ci occuperemo successivamente.

1 – LA LETTURA È UN'ATTIVITÀ PRIVATA

(che poi, a volte, viene condivisa). Non date retta a chi sostiene il contrario e teniamo questa convinzione come bussola in tutte le attività e iniziative relative al gruppo di lettura: ci aiuterà a prendere decisioni giuste e realistiche e a evitare le delusioni.
Un gruppo di lettura non fa letture di gruppo. Ciascuno legge da solo, per i fatti propri, il libro scelto come libro da condividere. Poi, in un incontro a una data stabilita, si discute di quel libro. Un gruppo di lettura fa allora quella che viene definita "lettura condivisa"; da non confondere con la lettura di gruppo, che invece prevede che l'atto della lettura sia fatto insieme a tutti gli altri.

Parlare ad altre persone di un libro che si è letto può essere difficile e faticoso. Discutere di un libro, in modo pertinente e profondo, significa molto spesso aprire una finestra sulle proprie idee e i propri sentimenti, le proprie emozioni più intime. Ho conosciuto persone che hanno lasciato il gruppo, del quale pensavano di sentirsi felicemente parte, perché era diventato emotivamente troppo faticoso parlare con sincerità dei libri letti. Poi ci sono timidezze nel parlare con persone che si conoscono poco o per nulla; fastidio per il protagonismo di altri lettori; intolleranze all'imposizione di una data entro la quale il libro dovrebbe essere terminato per poterne parlare nell'incontro. E molti altri ostacoli, come vedremo.

Un gruppo di lettura si regge quindi su un equilibrio instabile. Da una parte la naturale indipendenza del lettore nella scelta del libro, nella personalizzazione della lettura, nella interpretazione, nel tempo da dedicare, nel modo di scegliere di cosa parlare a proposito di quel libro e di come parlarne, e in tutto il resto che fa di ogni lettore un lettore idiosincratico e irriducibile a qualsiasi "gruppo".

Dall'altra, però, abbiamo la forza considerevole, cognitiva ed emotiva, della condivisione con altri dell'esperienza unica e irripetibile di quanto e come si è letto quel libro. È una pratica di generosità che richiede uno sforzo: la trasmissione gratuita di un'esperienza intensa e importante, per molti lettori un'esperienza decisiva. Una esperienza simile a quella del dono: gratuità di pensieri ed emozioni generati dalla lettura.
In fondo, la condivisione della lettura della quale stiamo parlando si fonda sulla convinzione di fondo che le storie che si sono scoperte dentro i libri possano continuare a esistere solo se condivise, rimesse in circolo, con l'aggiunta di ideali note a margine volute dagli altri lettori.

2 – IL GRUPPO DI LETTURA DEVE AVERE CONFINI PERMEABILI.

In entrata, uscita, rientro, ri-uscita e così via. Un gruppo di lettura che rende difficile il transito si trasformerà presto in un ciarliero salotto; e in esso la conservazione del salotto stesso sarà più importante della qualità, del coraggio e della varietà della discussione.

Un salotto è diverso da un gruppo di lettura. Un gruppo che non favorisce il transito in entrata e uscita, rischia di irrigidirsi, faticherà a rinnovarsi e soffrirà molto l'instabilità generata da ogni – inevitabile – abbandono. E faticherà ad accogliere nuovi lettori (sempre che nuovi lettori, un Gdl "chiuso" riesca a trovarli).

Fra le possibili metafore efficaci per questo concetto di disponibilità e invito al transito nel gruppo di lettura, mi pare che funzioni quella del piccolo bus in viaggio – se ne vedevano parecchi negli anni Settanta, oggi un po' meno – che si ferma a far salire gli autostoppisti; l'atmosfera è accogliente, sul bus ci sono altri autostoppisti, si scambiano le provviste di cibo, l'acqua, il vino; si scambiano le idee e le emozioni, le storie. Poi, dopo un po' di strada, qualcuno scende, è arrivato. Altri salgono. È uno spazio aperto e, insieme, intimo, solidale e di confronto e di conforto, capace di mutare continuamente, e allo stesso tempo di mantenere la propria natura "aperta" e di esplorazione.

3 – IL GRUPPO DI LETTURA HA BISOGNO DI UNA CASA.

O meglio di un luogo pubblico (o quasi pubblico come il bus di prima) che faccia da casa. Certo, molti gruppi di lettura si riuniscono davvero nelle case private. Ma questa pratica, lo si intuisce, rischia di spingerlo presto a diventare il citato "salotto". L'esperienza ha fino a oggi indicato che le biblioteche pubbliche sono il luogo ideale per fare da casa a un gruppo di lettura. È il luogo più aperto, e capace di favorire il "transito". Vanno bene anche i locali di un circolo culturale aperto; persino quelli di un bar. Anzi, ho maturato la convinzione che nei bar, pub, enoteche possano nascere gruppi specifici e "leggeri", agili avanguardie. Questi luoghi potrebbero diventare fra i migliori per la creazione di nuovi gruppi, che magari si consolidano trovandosi altrove.

4 – MODERATORE.

La discussione di ciascun libro in un gruppo di lettura funziona meglio se guidata da un moderatore (in alcuni gruppi è stato chiamato "maestro di gioco", anche per ricordare che suo compito è tenere sempre presente che ci sono delle regole del gioco e che queste regole sono suscettibili di trasformazione). È importante che il moderatore cambi per ogni libro discusso. Il perché è intuibile: non si rischiano le conferenze, non si rischia l'omologazione a un solo tipo di discussione o interpretazione.
Un buon metodo è affidare di volta in volta il ruolo alla persona che più ha a cuore il libro scelto.

Ma serve davvero un "moderatore"?
Forse si può fare senza. Diciamo che su questo tema ci sono idee – forse contraddittorie – ancora in evoluzione e elaborazione. Tornate a leggere qui.

5 – COMUNICAZIONI.

Qualcuno deve fare da collante fra i lettori del Gdl, in particolare fra una riunione e l'altra, nelle pause estive e nelle feste di Natale. Comunica a tutti data e ora degli incontri; comunica il libro scelto a chi non ha partecipato all'ultima riunione; mette all'opera le idee per pubblicizzare il gruppo e favorire il "transito".

6 – LA SCELTA DEL LIBRO.

Scegliere il libro nel modo giusto è un passaggio molto importante: ve ne accorgerete quando tutto sarà mandato a monte tutto con scelte mediocri, fatte più per non scontentare nessuno che per interessare, sorprendere o scardinare sicurezze dei lettori, o con scelte superficiali. Se vi sembra una regola banale, non state tenendo conto della maledizione dell'abitudine. Quando il gruppo di lettura si consolida – dopo un po' di libri con le relative riunioni di discussione – la scelta rischia di diventare quasi una routine; e in questo modo viene sottovalutato l'impatto che questa scelta avrà sull'intensità di partecipazione alla condivisione della lettura e in definitiva sul futuro del Gdl.
Libri scelti dopo discussioni intense sono indicatori significativi della salute del gruppo di lettura. Libri scelti quasi senza pensarci dovrebbero essere un segnale d'allarme sulla salute del gruppo.

7 – LA DISCUSSIONE: (QUASI) NESSUNA REGOLA.

Il gruppo di lettura si autoregola. Trova equilibri che si ridefiniscono ogni volta, anche dipendenti dal moderatore, dal numero di partecipanti alla discussione, dal libro discusso. Un gruppo autoregolato riesce anche ad ammortizzare il potenziale di rovina generato da elementi di disturbo, per esempio il narcisismo di qualche partecipante.
Ovviamente il tutto in quadro di civiltà e rispetto che viene dato per accettato e rispettato da tutti.

8 – CHI PARTECIPA A UN GRUPPO DI LETTURA NON FA CRITICA LETTERARIA.

Non sostituisce i critici di professione. Ovviamente non si può impedire a un lettore di provare a fare il "critico". Ma un "vorrei essere un critico" tende ad appesantire la discussione e a creare malintesi e diffidenze. Viene visto come "uno che sale in cattedra". La discussione funziona meglio se i lettori/partecipanti esprimono al massimo l'esperienza soggettiva di lettura di quel libro, senza le pretese di oggettività nel giudizio estetico che segnano ogni lettore che "vorrebbe essere un critico".

9 – PROFONDITÀ.

D'altra parte, è decisamente meglio che le differenti personalità nel Gdl si esprimano liberamente. Anche a costo di appesantire la discussione. Una discussione articolata, magari anche con digressioni clamorose è meglio di un "like" alla Facebook, o di un, apparentemente più meditato: "È un libro ben scritto". Una discussione generica uccide il gruppo di lettura.

10 – IL GRUPPO DI LETTURA NON DOVREBBE AVERE "FINALITÀ", "OBIETTIVI", "RAGIONI" ESTERNE ALLA CONDIVISIONE DELLE LETTURE.

O meglio: può anche averle, ovviamente. Non dovrebbero però essere queste finalità a regolare il funzionamento del gruppo. Perché, se così fosse, ci troveremmo con un gruppo telecomandato, con poca inventiva e capacità di esplorare.

11 – IL GRUPPO DI LETTURA DEVE ESSERE AMBIZIOSO

Partecipare a un gruppo di lettura è una scelta forte che si colloca all'incrocio fra l'amore estetico per la scrittura d'autore, il bisogno di conoscenza, l'emozione della lettura "personale", l'urgenza del dire e condividere questa scoperta.

Ora, se si genera questa voglia forte di condividere quel che si è letto, che ci trascina dentro il gruppo di lettura, ovunque si riunisca; e se questa urgenza è così significativa: ecco che l'esperienza del gruppo di lettura dovrebbe essere ambiziosa e complessa, per non deludere. Coraggiosa.

12 – IL GRUPPO DI LETTURA CON LETTORI CHE NON LEGGONO I LIBRI

Come detto, anche a chi non ha letto il libro deve essere invitato a partecipare al Gdl. Tuttavia, in che misura la violazione della regola fondamentale del gioco (leggere il libro) mette a rischio l'esistenza stessa del gruppo di lettura?
Insomma, quanti lettori "che non giocano" è in grado di sopportare il gruppo?
C'è poi la questione dei lettori che parlano di libri che hanno letto decenni prima e che ora non rileggono? Anche loro giocano con regole diverse, che mettono in difficoltà il gruppo.
Forse, poi dovremmo dire la stessa cosa di chi legge i libri in modo superficiale e finisce col dire cose che non sono pertinenti con ciò che l'autore del libro ha scritto.

(https://gruppodilettura.wordpress.com/2011/06/29/gruppi-di-lettura-come-crearne-e-uno-e-farlo-vivere-felice/)




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venerdì 8 giugno 2018

Patto Antico (Gruppo Amico)

Il Prof. Guercilena omaggia il Gruppo di Lettura "Lub(e)ri di leggere" con questa poesia, con cui ci salutiamo per la pausa estiva.

PATTO ANTICO (GRUPPO AMICO)

L'APERITIVO CHE ATTENDEVI,
DA TEMPO ORMAI LONTANO,
SI BEVE PIANO PIANO (A TUTTO SPIANO)
DAL SUPERGRUPPO OR!
    
     NEL MUTO POSTO SOLINGO
     BRINDO' TUTTO IN UN'ORA
     E GIUGNO CI RISTORA
     CON TUTTO IL SUO CALOR!

TU COME UNA VECCHIA PIANTA,
COMMOSSA E INCANUTITA,
MAI NELLA TUA VITA,
GIOISTI COME ALLOR!

     SEI IN UN'ETÀ UN PO'... FREDDA...
     MA L'ARIA È PIÙ CHE ALLEGRA
     E POI... CHI SE NE FREGA?...
     DEI LIBRI SIAM CULTOR!!!!

(Maurilio Guercilena, 6 giugno 2018)

Un ringraziamento al Professore per il gentile pensiero e buone letture a tutti.

Cultor di libri... ci ritroviamo il 20 settembre!!!!


Inviato da smartphone Samsung Galaxy.

venerdì 26 gennaio 2018

DUE OBIEZIONI A KUNDERA (di Italo Calvino)

"FRANZ aveva dodici anni quando il padre abbandonò la madre all'improvviso. Il ragazzo intuì che era accaduto qualcosa di grave, ma la madre velò il dramma dietro parole misurate e neutre, per non turbarlo. Quello stesso giorno erano andati in città e Franz, uscendo di casa, si era accorto che la madre aveva ai piedi scarpe diverse. Rimase confuso, voleva farglielo notare, ma allo stesso tempo temeva in quel modo di ferirla. E così aveva passato due ore con lei in giro per la città e per tutto il tempo non aveva potuto staccare gli occhi dai suoi piedi. Allora, per la prima volta, aveva cominciato a capire che cos'è la sofferenza".

Questo passo dà bene la misura dell'arte di raccontare di Milan Kundera - della sua concretezza, della sua finezza - e ci avvicina a comprendere il segreto per cui nel suo ultimo romanzo (L”'insostenibile leggerezza dell’essere”, traduzione di Antonio Barbato, Adelphi, pagg. 318, lire 20.000: quando uscì in Francia ne parlò su queste pagine Elena Guicciardi) il piacere della lettura si riaccenda di continuo. Tra tanti scrittori di romanzi, Kundera è un romanziere vero, nel senso che le storie dei personaggi sono il suo primo interesse: storie private, sopratutto storie di coppie, nella loro singolarità e imprevedibilità. Il suo modo di raccontare procede a ondate successive (gran parte dell’azione si sviluppa nelle prime trenta pagine; la conclusione è già annunciata a metà romanzo; ogni storia viene completata e illuminata strato a strato) e attraverso divagazioni e commenti che trasformano il problema privato in problema universale, dunque anche nostro. Ma questa problematicità generale, anziché aggiungere gravità, fa da filtro ironico, alleggerisce il pathos delle situazioni. Tra i lettori di Kundera ci può essere chi s' appassiona di più alla vicenda e chi (io, per esempio) alle divagazioni. Ma anche queste si trasformano in racconto. Come i suoi maestri settecenteschi Sterne e Diderot, Kundera fa delle sue riflessioni estemporanee quasi un diario dei suoi pensieri e umori.

L'ironica problematicità universal-esistenziale coinvolge anche ciò che, trattandosi di Cecoslovacchia, non può essere dimenticato neanche per un minuto, cioè quell’insieme di vergogne e insensatezze che una volta si chiamava la Storia e che ora può solo dirsi la maledetta sfortuna d' essere nato in un paese piuttosto che in un altro. Ma Kundera, facendone non "il problema" ma solo una complicazione in più dei guai della vita, elimina quel doveroso, allontanante rispetto che ogni letteratura degli oppressi incute in noi immeritatamente privilegiati, e in questo modo ci coinvolge nella disperazione quotidiana dei regimi comunisti molto di più che se facesse appello al pathos. Il nucleo del libro sta in una verità tanto semplice quanto ineludibile: è impossibile agire valendosi dell’esperienza perché ogni situazione cui ci troviamo di fronte è unica e ci si presenta per la prima volta. “Qualsiasi studente nell’ora di fisica può provare con esperimenti l'esattezza di un'ipotesi scientifica. L’uomo, invece, vivendo una sola vita, non ha alcuna possibilità di verificare un'ipotesi mediante un esperimento, e perciò non saprà mai se avrebbe dovuto o no dare ascolto al proprio sentimento”.

Kundera collega questo assioma fondamentale con corollari non altrettanto solidi: la leggerezza del vivere per lui sta nel fatto che le cose avvengono una volta sola, fugacemente, dunque è quasi come se non fossero avvenute. La pesantezza invece sarebbe data dall’“eterno ritorno” ipotizzato da Nietzsche: ogni fatto diventa spaventoso se sappiamo che si ripeterà infinite volte. Ma - obietterei - se l'“eterno ritorno” (sul cui possibile significato esatto non ci si è mai messi d' accordo) è ritorno dell’identico, una vita unica e irripetibile equivale esattamente a una vita infinitamente ripetuta: ogni atto è irrevocabile, non modificabile per l’eternità. Se invece l’“eterno ritorno” è una ripetizione di ritmi, di schemi, di strutture, di geroglifici del destino, che lasciano spazio per infinite piccole varianti nei dettagli, allora si potrebbe considerare il possibile come un insieme di fluttuazioni statistiche, in cui ogni evento non escluderebbe alternative migliori o peggiori, e la definitività d' ogni gesto risulterebbe alleggerita.

Leggerezza del vivere è per Kundera ciò che si oppone alla irrevocabilità, alla univocità esclusiva: tanto in amore (il medico praghese Tomáš vorrebbe praticare solo l’“amicizia erotica”, evitando coinvolgimenti passionali e convivenze coniugali) quanto in politica (questo non è detto esplicitamente, ma la lingua batte dove il dente duole, e il dente è naturalmente l’impossibilità dell’Europa dell’Est di cambiare - o almeno alleviare - un destino che non si è mai sognata di scegliere).

Ma Tomáš finisce per accogliere in casa e sposare Tereza, cameriera d' un ristorante di provincia, per "compassione". Non solo: dopo l’invasione russa del’68, Tomáš riesce a scappare da Praga e a emigrare in Svizzera, con Tereza; la quale però, dopo qualche mese viene presa da una nostalgia che si manifesta come vertigine di debolezza verso la debolezza del suo paese senza speranza: e rimpatria. Ecco allora che Tomáš, che avrebbe tutte le ragioni, ideali e pratiche, per restare a Zurigo, decide di tornare a Praga anche lui, pur sapendo di chiudersi in una trappola e d' andare incontro a persecuzioni e umiliazioni (non potrà più fare il medico e finirà lavatore di vetri).

Perché lo fa? Perché, pur professando l’ideale della leggerezza del vivere, e pur avendone un esempio pratico nel rapporto con una sua amica, la pittrice Sabina, ha sempre avuto il dubbio che il vero valore non sia nell’idea contraria, nel peso, nella necessità. “Es muss sein!” “Ciò deve essere!” dice l’ultimo movimento dell’ultimo quartetto di Beethoven. E Tereza, amore nutrito di compassione, amore non scelto ma impostogli dal destino, assume ai suoi occhi il significato di questo fardello dell’ineluttabile, dell’“Es muss sein!”.

Si viene a sapere più in là (ecco come le divagazioni formano quasi un romanzo parallelo) che l’occasione che aveva portato Beethoven a scrivere “Es muss sein!” non era nulla di sublime, ma una banale storia di quattrini prestati da recuperare; così come il destino che aveva portato Tereza nella vita di Tomáš era solo un seguito di coincidenze fortuite.

In realtà questo romanzo intitolato alla leggerezza ci parla sopratutto della costrizione: la fitta rete di costrizioni pubbliche e private che avvolge le persone, che esercita il suo peso su ogni rapporto umano (e non risparmia neppure quelli che Tomáš vorrebbe considerare fuggevoli couchages). Anche il dongiovannismo, su cui Kundera ci dà una pagina di definizioni originali, ha motivazioni tutt' altro che "leggere": sia quando risponde a una “ossessione lirica”, cioè ricerca tra le molte donne della donna unica e ideale, sia quando è motivato da una “ossessione epica”, cioè ricerca d' una conoscenza universale nella diversità.

Tra le storie parallele il maggior rilievo va alla storia di Sabina e di Franz. Sabina come rappresentante della leggerezza e portatrice dei significati del libro è più persuasiva del personaggio a cui si contrappone, cioè Tereza. (Direi che Tereza non arriva ad avere il "peso" necessario per giustificare una decisione tanto autodistruttiva da parte di Tomáš). E' attraverso Sabina che la leggerezza acquista evidenza come "fiume semantico", cioè rete d' associazioni e immagini e parole su cui si basa l’intesa amorosa di lei e Tomáš, una complicità che Tomáš non può ritrovare con Tereza, né Sabina con Franz. Franz, scienziato svizzero, è l’intellettuale progressista occidentale come lo può vedere chi, dall’Europa dell’Est, lo considera con l’impassibile oggettività d' un etnologo che studi i costumi d' un abitante degli antipodi. La vertigine d' indeterminatezza che ha sostenuto gli entusiasmi di sinistra negli ultimi vent' anni è indicata da Kundera con il massimo di precisione compatibile a così inafferrabile oggetto: “Dittatura del proletariato o democrazia? Rifiuto della società dei consumi o aumento della produzione? Ghigliottina o abolizione della pena di morte? Non è questo l’importante”. Ciò che caratterizza la sinistra occidentale, secondo Kundera, è quella che lui chiama la Lunga Marcia, che si svolge con la stessa vaghezza di propositi e di emozioni "ieri contro gli americani che occupavano il Vietnam, oggi contro il Vietnam che occupa la Cambogia, ieri per Israele, oggi per i palestinesi, ieri per Cuba, domani contro Cuba e sempre contro l’America, ogni volta contro i massacri e ogni volta in appoggio ad altri massacri, l’Europa marcia e per seguire il ritmo degli avvenimenti e non lasciarsene sfuggire nessuno il suo passo diventa sempre più veloce, sicché la Grande Marcia è un corteo di gente che corre e si affretta e la scena è sempre più piccola, fino a che un giorno non sarà che un punto senza dimensioni".

Seguendo i tormentosi imperativi del senso del dovere di Franz, Kundera ci porta alle soglie del più mostruoso inferno generato dalle astrazioni ideologiche quando diventano realtà, la Cambogia, e descrive una marcia internazionale umanitaria in pagine che sono un capolavoro di satira politica.

Al polo opposto di Franz, la sua partner temporanea, Sabina, fa da portavoce dell’autore in quanto mente lucida nello stabilire confronti e contrasti e paralleli tra l’esperienza della società comunista in cui è cresciuta e l’esperienza dell’Occidente. Uno dei cardini di questi confronti è la categoria del Kitsch. Kundera considera il Kitsch nell’accezione di rappresentazione edulcorata, edificante, "vittoriana", e naturalmente pensa al "realismo socialista" e alla propaganda di regime, maschera ipocrita di tutti gli orrori. Sabina che, stabilitasi negli Stati Uniti, ama New York per quanto vi è di “bellezza non intenzionale”, “bellezza per errore”, è sconvolta quando vede affiorare il Kitsch americano, tipo pubblicità della Coca-Cola, che gli ricorda le immagini radiose di salute e di virtù tra le quali è cresciuta. Ma Kundera giustamente precisa: “Il Kitsch è l’ideale estetico di tutti gli uomini politici, di tutti i partiti e i movimenti politici. In una società dove coesistono orientamenti politici diversi e dove quindi la loro influenza si annulla o si limita reciprocamente, possiamo ancora in qualche modo sfuggire all’inquisizione del Kitsch... Ma là dove un unico movimento politico ha tutto il potere, ci troviamo di colpo nel regno del Kitsch totalitario”. Il passo che resta da compiere è liberarsi dalla paura del Kitsch, una volta che ci si è salvati dal suo totalitarismo e lo si può vedere come un elemento in mezzo a tanti altri, una immagine che perde velocemente il proprio potere mistificatorio per conservare solo il colore del tempo che passa, la testimonianza della mediocrità o dell’ingenuità di ieri. E' quello che mi pare succeda a Sabina, per cui possiamo riconoscere nella sua storia un itinerario spirituale di riconciliazione col mondo. Alla vista, tipica dell’idillio americano, delle finestre illuminate in una casa di legno bianco su un prato, Sabina sorprende in se stessa un moto di commozione. E non le resta che concludere: “Per quanto forte sia il nostro disprezzo, il Kitsch fa parte della condizione umana”.

Una conclusione molto più triste è quella della storia di Tereza e Tomáš; ma qui, attraverso la morte d' un cane, e la cancellazione di se stessi in una sperduta località di campagna, si arriva quasi a un assorbimento nel ciclo della natura, in un' idea del mondo che non ha al suo centro l’uomo, anzi che non è assolutamente fatto per l’uomo.

Le mie obiezioni a Kundera sono due: una terminologica e una metafisica. L’obiezione terminologica riguarda la categoria del Kitsch, di cui Kundera prende in considerazione solo una tra le varie accezioni. Ma del cattivo gusto della cultura di massa fa parte anche il Kitsch che pretende di rappresentare la spregiudicatezza più audace e "maledetta" con effetti facili e banali. Certo è meno pericoloso dell’altro, ma ne va tenuto conto per evitare di crederlo un antidoto. Per esempio, vedere l’assoluta contrapposizione al Kitsch nell’immagine d' una donna nuda con in testa una bombetta da uomo non mi pare del tutto convincente.

L’obiezione metafisica ci porta più lontano. Riguarda “l’accordo categorico con l’essere”, atteggiamento che per Kundera sarebbe alla base del Kitsch come ideale estetico. “La differenza che separa coloro che mettono in discussione l’essere così come è stato dato all’uomo (non importa in che modo o da chi) da coloro che vi aderiscono senza riserve” è data dal fatto che l’adesione impone l’illusione d' un mondo in cui non esista la defecazione, perché secondo Kundera la merda è la negatività assoluta, metafisica. Obietterò che per i panteisti e per gli stilistici (io appartengo a una di queste due categorie, non preciserò quale) la defecazione è una delle più grandi prove della generosità dell’universo (della natura o provvidenza o necessità o cos' altro si voglia). Che la merda sia da considerare tra i valori e non tra i disvalori, è per me una questione di principio.

Da ciò derivano conseguenze fondamentali. Per non cadere nei vaghi sentimenti d' una redenzione universale che finiscono per produrre regimi polizieschi mostruosi, né nei ribellismi generalizzati e temperamentali che si risolvono in obbedienze pecorili, è necessario riconoscere come sono fatte le cose, ci piacciano o meno, nel moltissimo a cui è vano opporsi e nel poco che può essere modificato dalla nostra volontà. Credo dunque che sia necessario un certo grado di accordo con l’esistente (merda compresa) proprio in quanto incompatibile col Kitsch che Kundera giustamente detesta.

ITALO CALVINO

31 maggio 1985 – La Repubblica

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/05/31/due-obiezioni-kundera.html

https://www.youtube.com/watch?v=qap-ON-rtwM